Project Description
Andreina Gubbiotti
Madre di Tommaso
Sono la mamma di Tommaso, un ragazzo autistico di 22 anni. È sempre difficile definire la condizione autistica: non è una sindrome, non ha una sola forma, non è classificabile rigidamente. È preferibile definire l’essere autistici come un modo di vedere ed interpretare il mondo che ci circonda utilizzando altri codici, per ora molto poco conosciuti. La mancanza di esperienza e l’incomprensione delle diverse manifestazioni generano complesse risposte comportamentali che a volte possono assumere forme severe. Con la scoperta dell’autismo di mio figlio ho abbandonato le mie conoscenze in campo scientifico per non prendere vie inutili (lavoro nel campo della medicina di laboratorio) e insieme alla mia famiglia abbiamo iniziato percorsi, affrontato battaglie e pianificato le attività quotidiane senza mai guardare indietro. Tutte le conquiste fatte sono frutto di anni di lavoro duro condiviso tra famiglia, scuola, terapisti e le persone alle quali è stato via via affidato Tommaso. Ci sono voluti tanti sacrifici e tanta dedizione e la fortuna di avere sempre conosciuto persone speciali. Tommaso ci ha mostrato la faccia buona del mondo, quella che condivide, che comprende e che vuole assolutamente aiutare. Il contenitore scolastico ha garantito una sorta di serenità a tutti noi, perché tutto era molto gestibile (ce ne accorgiamo ora). I problemi con le istituzioni, con i municipi, con la ASL erano effettivamente strade non facili da percorrere, ma con la tenacia che solo un genitore provato è capace di avere, si arrivava alla soluzione. Quello che invece accade dopo i 18 anni è estremamente complicato anche dal fatto che i genitori invecchiano nel frattempo, talvolta si ammalano (talvolta ci lasciano come è accaduto a mio marito circa un anno fa) e allora si inizia realmente a pensare al dopo di noi. Oggi l’autismo è sicuramente più conosciuto, meno ignorato socialmente di prima, ma non si è fatto ancora abbastanza per rendere omogeneo il livello di assistenza e cura per i soggetti autistici. Ci siamo associati, ci siamo dedicati alla costituzione di onlus, abbiamo speso tanti soldi per garantire una quotidiana occupazione ai nostri ragazzi. Non è sufficiente. Dobbiamo esplorare molti campi, dobbiamo alzare la voce con le istituzioni e soprattutto capire quale è il nostro referente (ASL, municipio, Ministero della Sanità, Politiche Sociali) Dobbiamo ottenere la garanzia del trattamento equo per tutti. Dobbiamo garantire a chi se ne farà carico dopo di noi (fratelli e sorelle, parenti) che i loro congiunti fragili possono avere una vita indipendente, da supervisionare certamente ma con il piacere di farlo e non con la zavorra sul collo. Con FIDA si intende proprio questo, la presa in carico di esigenze diverse che però hanno molti denominatori comuni. Non tutti possiamo occuparci di tutto e quindi nel mio piccolo, lavorando come dirigente biologo in uno dei più grandi ospedali di Roma, penso che sia possibile dare un contributo in termini di diagnosi e cura per qualunque forma patologica possa insorgere nei nostri soggetti fragili. Con il Progetto Tobia, che ha sede al San Camillo Forlanini di Roma, abbiamo iniziato a dialogare. Possiamo risolvere piccoli e grandi problemi di salute con percorsi differenziali e con personale che per scelta professionale si dedica a loro. Dobbiamo essere tanti e guardare tutti nella stessa direzione. Ce la possiamo fare.